
A cura di Edoardo Mocini
Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dottore di Ricerca in Scienze Endocrinologiche
Come conciliare il contrasto allo stigma con la ricerca e tutela della salute.
Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dottore di Ricerca in Scienze Endocrinologiche
Come medico che elabora e prescrive dietoterapie potrebbe sembrare una contraddizione, ma uno degli aspetti principali contro cui mi batto nella mia attività di divulgazione è proprio la “cultura della dieta”. Questo insieme di credenze e pratiche, che esalta la magrezza come unico simbolo di salute, bellezza e successo personale, ha radici profonde nella nostra società e un impatto significativo sulla salute fisica e mentale di molte persone, in particolare di quelle affette da obesità. Il termine "cultura della dieta" è stato utilizzato da Christy Harrison, dietista e autrice del libro Anti-Diet, per descrivere un sistema di valori che promuove il controllo del peso come obiettivo prioritario e che associa il valore personale alla conformità a standard estetici spesso irraggiungibili.
La cultura della dieta non si limita alla promozione di regimi alimentari restrittivi, ma alimenta un'intera narrazione sociale che lega il benessere e il successo alla magrezza. Questo paradigma è rafforzato da media, pubblicità e industrie che traggono profitto dalla perpetuazione di ideali corporei irrealistici, trasformando il peso in un indicatore morale e di valore personale. Per molte persone, specialmente coloro che convivono con obesità, questa pressione non solo impone obiettivi estetici impossibili, ma perpetua uno stigma profondo che influisce negativamente sulla qualità della vita.
Gli effetti della cultura della dieta si manifestano su più livelli, toccando sia la salute fisica che quella mentale. La pressione a conformarsi a standard estetici irraggiungibili genera spesso insoddisfazione corporea, bassa autostima e problemi di ansia o depressione. Per le persone con obesità, questi effetti sono amplificati dallo stigma sociale, che le dipinge come incapaci o prive di forza di volontà. Questo porta a interiorizzare sentimenti di colpa e vergogna, provocando o aggravando problematiche di salute mentale già esistenti e contribuendo al mantenimento di cicli disfunzionali di comportamento alimentare.
Un elemento fondamentale che perpetua la cultura della dieta è il ruolo dei media tradizionali e dei social network. Le piattaforme social sono sature di contenuti che inneggiano o promuovono la perdita di peso a qualunque costo, con trasformazioni fisiche spettacolari, spesso veicolate da content creator senza competenze in ambito sanitario.
Questi messaggi, amplificati dall’uso di filtri e immagini ritoccate, creano standard estetici irrealistici che colpiscono in modo particolare i più giovani. Studi recenti hanno dimostrato che l’esposizione a questi contenuti è correlata a un aumento dell’insoddisfazione corporea e all’insorgere di disturbi alimentari. Per le persone con obesità, questi messaggi non solo rafforzano lo stigma sociale, ma alimentano un senso di esclusione e fallimento, esacerbando problemi di ansia, tono dell’umore e isolamento sociale.
Per contrastare gli effetti negativi della cultura della dieta, è necessario un cambiamento radicale nella percezione sociale del corpo e del benessere. È fondamentale abbandonare l’idea che la magrezza sia sinonimo automatico di salute o, peggio, di valore personale, e promuovere un approccio che celebri la diversità corporea e si concentri sulla qualità della vita e sul raggiungimento di una salute completa e realistica. Questo include educare le persone a riconoscere il cibo come fonte di nutrimento, piacere e connessione sociale, e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’impatto dello stigma legato al peso. Inoltre, è essenziale che i professionisti della salute, i media e le istituzioni si impegnino a utilizzare un linguaggio rispettoso, evitando narrazioni che perpetuino il controllo del peso come unico indicatore di benessere.
Un aspetto particolarmente delicato riguarda come il contrasto alla cultura della dieta si possa conciliare con la necessità, per alcuni pazienti affetti da obesità, di perdere peso per motivazioni cliniche. Questo tema è ricco di sfumature e viene interpretato in modi diversi da esperti, professionisti e attivisti dell’ambito. Dal mio punto di vista, l’elemento fondamentale e irrinunciabile è mettere al centro il paziente, assicurandosi che l’approccio non sia mai guidato esclusivamente da pressioni estetiche o da stigma subito, ma piuttosto dalla volontà di migliorare la propria salute e la propria qualità di vita. Ciò significa considerare la salute non solo fisica, ma anche psicologica e sociale, e rispettare i valori e i desideri personali di ciascun individuo.
La perdita di peso, in questi casi, può essere uno strumento, ma non dovrebbe mai diventare l’obiettivo principale o assoluto, che dimentica o addirittura peggiora il benessere delle persone. Il fine ultimo è permettere al paziente di vivere una vita piena, autentica e in equilibrio con se stesso.
La cultura della dieta non è solo un fenomeno legato all’alimentazione, ma un sistema di valori che influenza profondamente il modo in cui le persone percepiscono se stesse e il proprio valore. Superarla significa costruire una società più inclusiva, in cui la salute non sia definita unicamente da una taglia o da un numero sulla bilancia, ma dalla capacità di condurre una vita soddisfacente e coerente con i propri valori. Per le persone con obesità, in particolare, significa creare spazi di rispetto e supporto che consentano loro di essere trattate con dignità, senza imporre obiettivi irrealistici, che finiscono per limitare il loro benessere e la loro salute invece che promuoverli.
Codice aziendale IT24SEMO00109. I contenuti di questo sito sono esclusivamente a scopo informativo e non sostituiscono il parere di un medico.